Una volta, qualche anno fa, colta da un’improvvisa intuizione, uscii da una stanza per tornare da una persona con cui avevo parlato fino a qualche minuto prima di obiettivi lavorativi, solo per dirle: “Secondo me, possiamo cambiare solo quando siamo scomodi, quando ci sentiamo stretti e soffocati in quello che facciamo”.
Ricordo ancora il suo sguardo tra il perplesso e lo stranito, prima di fare un bel sorriso e girare nuovamente sui tacchi.
Si cambia perché ci si sente scomodi nel momento in cui si è, e perché rimanere richiederebbe un contributo in termini di inefficacia e sofferenza che non riusciremmo più a pagare senza rinunciare a noi stessi.
Le sfaccettature della plusdotazione sono molteplici, diverse e atipiche per ogni essere umano. Ma in generale, alcuni tratti caratteristici li ritroviamo comuni in molti ipersensibili gifted. Come quello di avere doti di leadership ma di non amare il ruolo al centro del palco che invece molti leader assumono, per scelta o per convenzione.
Elaine Aron, ricercatrice e psicoterapeuta, affrontando il tema delle persone ipersensibili, ne dà una definizione che secondo me chiarisce molte cose:
Le chiama consiglieri reali, ovvero coloro che per natura sono più riflessivi, che sanno – spesso intuendolo – cosa può favorire il benessere della comunità, che fanno lavori in cui ritrovano il nesso tra causa ed effetto e si sentono maggiormente realizzati come insegnanti, scrittori, genitori e più in generale come coloro che, un po’ dietro le quinte, sanno come incoraggiare e sostenere gli altri.
Proprio come un tempo i re guerrieri chiedevano di fare ai propri leader spirituali, laici o religiosi che fossero.
Quando in ambiti lavorativi un gifted con queste caratteristiche si ritrova in una competizione forzata o gli si chiede di realizzare progetti per definire chi, in una rosa di candidati, merita l’avanzamento di carriera, o quando viene valutato dando spazio alle doti di un re guerriero (fama, conquista, sfida …), è molto probabile che viva tutto alla luce di una forte frustrazione e con grande insoddisfazione personale.
Andare avanti nonostante l’insofferenza o andarsene senza se e senza ma?
Si può scegliere di andare avanti malgrado tutto, perché in fondo quella insofferenza la conosciamo così bene che è diventata un po’ casa nostra. E di quello che c’è fuori invece non sappiamo (ma più precisamente pensiamo di non sapere) nulla e per questo forse non vale la pena affrontarlo.
Oppure, come spesso capita ai gifted rimasti troppo tempo in un ruolo che non è il loro, alzarsi e andarsene. Senza se e senza ma, con quell’impulsività che però nel tempo non ripaga, in termini strategici ed economici.
La terza via, quella del cambiamento e della pianificazione
E poi c’è una terza via, quella che riesce a essere la migliore soprattutto in fatto di efficacia a lungo termine: dichiararsi il cambiamento, pianificarne gli obiettivi, immaginare come ci sentiremo una volta realizzati. Per un percorso simile, si può chiedere sostegno ad un coach o ad un mentor, ma è utile arrivarci avendo imparato a fidarsi della propria sensibilità.
Magari chiedendoci di tanto in tanto: se faccio questa scelta, cosa penserò domani?
Non si tratta sempre di dover cambiare il mondo a suon di porte sbattute o di lamentele eterne. Ma di darsi il giusto spazio e un buon tempo per cominciare a fare affidamento proprio sulla nostra ipersensibilità da gifted, rendendola il punto di forza su cui far leva per realizzare obiettivi ecologici e che ci cambino davvero in meglio la vita.
(Questo articolo è stato pubblicato sulla rivista 78Pagine)
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