Prima sei un ragazzino più sensibile di molti dei tuoi compagni o amici. Non lo fai apposta, ma senti sempre tutto con molta intensità: le tue emozioni, i sentimenti e gli stati vitali degli altri, non sei a tuo agio nei cambiamenti rapidi e imposti, ci sono spazi e luoghi la cui energia ti piace ed altri in cui non riesci a stare per più di due minuti, il tuo umore segue le stagioni e ci sono giorni di pioggia in cui saltelli felice e altri di pieno sole in cui ti tuffi in un libro fino a sera. Vivi qualsiasi forma di ingiustizia – che riguardi te o il mondo intero – con passione e veemenza e parleresti per ore di astronomia o dell’ultima mostra di Michelangelo invece di scambiare le figurine dei calciatori come fanno i tuoi compagni.
Poi, cresci e diventi un uomo adulto.
Che fine fa tutto questo?
Ovviamente rimane. Per qualcuno quel parlare di galassie e buchi neri è diventato un lavoro, per altri è ancora solo una grandissima passione che alleggerisce il resto. Ma in tutto questo mi capita spesso di incontrare uomini – consapevoli o meno della loro plusdotazione – che preferiscono tenere nascoste o poco in evidenza molte parti di sé stessi.
Lì dove nell’immaginario collettivo intelligenza è sinonimo di successo, se tu sei un uomo molto intelligente sicuramente dovrai avere molto successo, saper fare molte cose, ragionare solo in maniera lineare, pratica e oggettiva. Sarai il genio alla Bill Gates oppure il leader o il professionista competitivo, duro e inflessibile che non ha limiti di orario e da ogni fallimento salta su con nuove idee e progetti.
Chiaramente sto generalizzando ed anche estremizzando alcuni pregiudizi culturali, ma il messaggio alla base è sempre lo stesso: l’impatto che questo tipo di cultura ha su alcuni uomini gifted genera spesso un atteggiamento che sembra essere per loro l’unica alternativa per stare bene, ovvero nascondersi, camuffare sensibilità e talenti per cercare di sopravvivere sia alle proprie aspettative che a quelle altrui.
Ci sono uomini gifted che nel lavoro decidono che il loro valore è connesso proprio a quel dover fare di più, all’essere più competitivi, più efficaci e a non lamentarsi mai. Che scelgono di avere un controllo assoluto sulle proprie emozioni, perché gli è stato insegnato che un uomo non piange, non si lamenta, e basta guardare le nostre pubblicità per comprendere quanto questo messaggio sia continuamente rafforzato.
Ironicamente, è proprio la loro sensibilità e la capacità di sintonizzarsi sugli altri e percepire – a volte anticipandoli – i movimenti all’interno della loro specifica realtà professionale o anche in senso più globale, a permettergli di plasmare ciò che sono a seconda delle occasioni e delle dinamiche in cui si ritrovano, tentando di essere più conformi possibile all’idea che gli altri hanno di loro in quanto uomini.
Ripeto: l’idea che gli altri hanno di loro.
Emozioni e lavoro
Credenza limitante: “Se vuoi essere davvero efficace, non fare scelte emotive”. “Dobbiamo agire razionalmente, qui non c’è spazio per i sentimenti.” “Se non sai gestire il tuo team forse è perché ti vedono più come un amico che come il capo”. “Per riuscire a stare in quella riunione così lunga e con tutta quella gente che si parlava sopra ad un certo punto ho deciso di non manifestare in alcun modo ciò che provavo”.
Tanti modi di dirlo, un solo concetto: le emozioni al lavoro non hanno spazio.
Il problema però è che nessuno è veramente in grado di eliminare o ridurre drasticamente le emozioni, che “parlano” anche attraverso il nostro corpo, nel modo in cui ci muoviamo oppure nel tono di voce e con le micro espressioni del viso. Decidere di tenere costantemente sotto controllo tutto questo o di cercare costantemente strategie per gestire la propria immagine significa impiegare un’energia tale da richiedere alti costi in termini di fatica fisica e mentale.
Cambio di prospettiva: ciò che provi è sempre giusto perché è un tuo messaggio. Ti sta raccontando qualcosa che in quel momento è importante tu ascolti.
- Di cosa senti il bisogno in quel momento?
- Cosa vuoi dire o fare veramente?
- Cosa ti sta arrivando dalla situazione in cui sei e cosa intuisci serva per migliorare quel momento?
Credenza limitante: essere emotivi significa perdere il controllo. E le scelte professionali non possono essere fatte emotivamente, altrimenti si perde il vero focus: produrre, guadagnare, espandersi…
Cambio di prospettiva: ciò che provi non gestisce i tuoi comportamenti. Quello che tu fai o non fai sulla base delle tue emozioni è sempre e solo una tua scelta. Se il comportamento da bullo del tuo collega ti manda in tilt, seguire l’impulso di alzarti e andartene senza se e senza ma potrebbe, in varie misure, crearti problemi. Fermati, prendi tempo e rifletti.
- Cosa scelgo di fare in questo momento?
- Cosa mi sta davvero dando fastidio del suo comportamento?
- Se questa è un’ingiustizia per me, qual è il prossimo passo che decido di fare per risolverla?
Credenza limitante: “Sei sempre il solito sentimentale, e guarda dove ti ha portato!” “Per favore, non fare come al solito: lascia fuori le emozioni almeno per una volta.”
Quando ti chiedono o tu stesso pretendi di essere diverso da ciò che sei, stai negando una parte di te che di conseguenza chiederà con ancora più energia di essere ascoltata, di poter avere voce.
Cambio di prospettiva: ciò che è accaduto nel passato rimane nel passato. Fa parte del tuo sviluppo, della tua crescita e del tuo progresso. Osservalo come spunto di riflessione e non come stigma da cui non puoi più riscattarti.
- Cosa ho imparato da quell’occasione?
Per evitare di avere sempre gli stessi effetti, quali azioni nuove posso fare ora?
Non chiedere mai scusa per il tuo essere profondamente sensibile
Se in alcuni momenti ti senti troppo coinvolto, se ti rendi conto che le emozioni stanno prendendo il sopravvento, vergognarti o chiedere scusa agli altri e a te stesso di ciò che provi non è avere rispetto di te.
Diverse ricerche confermano che proprio il sentirsi liberi di esprimere o di comunicare le proprie emozioni con assertività e rispetto rende l’ambiente lavorativo più innovativo e produttivo.
E questo è possibile solo se ti dai la possibilità di essere emotivamente consapevole di chi sei, di cosa provi e di come tutto questo può migliorare le tue performance.
“Tutte le vittorie e il progresso umano riposano sulla forza interiore dell’individuo”
Maria Montessori
Se ti sei ritrovato nelle mie parole e hai capito che è questo il momento giusto per iniziare ad avere cura di te, contattami e raccontami come stai e di cosa senti il bisogno adesso. E se hai un amico, un collega o un fratello a cui pensi questo articolo possa fare del bene (e il suo benessere farlo a te!), condividilo…potresti fare davvero molta differenza per loro! Per il momento ti ringrazio e se potrò essere di aiuto a te o a qualcuno che ami, ne sarò sempre felice!
(Questo articolo è pubblicato sul blog di Connessioni di Talento)
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